martedì 18 maggio 2010

Farmacista Clinico

Trovo con molto piacere alcune notizie in internet riguardanti la figura del farmacista clinico. Devo anche aggiungere che alcune di queste sono datate 2008, lasciando prevedere un miglioramento dei fatti.
Per i non addetti ai lavori, ma sono sicuro che anche molti colleghi farmacisti o laureandi farmacisti avranno bisogno di ulteriori spiegazioni a riguardo, il “Farmacista Clinico” e’ un laureato in farmacia con conoscenze cliniche simile a quelle di un dottore.

Nel Regno Unito e’ un professionista indispensabile in tutti gli ospedali e responsabile anche di case di cura o di riposo, insomma un farmacista specializzato che controlla le prescrizioni mediche potendo, dopo eventuale discussione con il medico prescrivente, modificare medicinale e/o dosaggio.

Non e’ difficile da immaginare come il trenta percento delle prescrizioni presenti un errore tecnico che non solo crea ulteriori spese per nuove cure, ma mette in gioco la salute dei pazienti.
Di certo non sono da incriminare i dottori, i quali hanno il loro gran da fare nel diagnosticare malattie e curarle nel migliore dei modi. Il farmacista dovrebbe essere la persona deputata a conoscere i farmaci nella loro completezza, mi riferisco non solo ai giusti dosaggi ed eventuali interazioni, o al sapere che tipo di medicinali devono essere prescritti per curare malattie piuttosto che deficit metabolici, ma anche all’assicurarsi che le medicine siano somministrate regolarmente durante la giornata e preparare eventuali medicine da dare per un primo periodo di cura al paziente dimesso prima che il malato possa andare dal proprio medico di base. Per questa ragione, oltremanica le due figure, primari e farmacisti, lavorano in simbiosi, con l’appoggio dei preziosissimi infermieri.


E in Italia? Discutono. Decidono se introdurre la figura e si continuano ad avere case di cura senza un farmacista responsabile al quale gli operatori sanitari possano rivolgersi. A quanti pazienti vengono somministrati anti-infiammatori non steroidei da personale addetto senza che quest’ultimo sappia se il paziente soffra d’asma?

Purtroppo sembrano esserci ancora dei nodi da risolvere nel Bel Paese su questa figura. Si pensa che la spesa dell’ospedale possa aumentare notevolmente. In realta’ e’ questione d’organizzazione. Quando ho lavorato in Ospedale, ogni farmacista era responsabile di uno o piu’ reparti. Ogni sei mesi il farmacista aveva la possibilita’ di cambiare reparto per aumentare le conoscenze cliniche, spaziando da chirurgia a medicina a, per esempio, oncologia piuttosto che pediatria. Alcuni di essi due volte a settimana visitavano case di cura e di riabilitazione. Con delle adeguate rotazioni durante le otto ore lavorative giornaliere, non vi era bisogno di uno spropositato numero di farmacisti per l’ospedale.
Il secondo problema e’ il diploma post-universitario per questa figura. Inutile dire che in Inghilterra si diventa farmacisti clinici lavorando ed appoggiandosi ad un tutor (generalmente un farmacista con esperienza ) e dei corsi universitari che seguono il lavoro del neo-farmacista e che non richiedono piu’ di 3 giorni mensili o bimestrali di frequenza e supportato da un massiccio lavoro da svolgere in ospedale. Questo permette di poter sostenere le spese universitarie in quanto si continua a lavorare ed una progressiva esperienza fatta direttamente sul campo. In Italia a quanto pare per il momento esiste solo un Master, al fine del quale non e’ garantito il lavoro in quanto il farmacista clinico.. non e’ ancora riconosciuto.

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