martedì 18 maggio 2010

Farmaci senza ricetta in caso di urgenza

Dal 2008, o forse solo dal 2008, esiste un decreto della salute che permete di dare ad un paziente un farmaco senza ricetta in caso di emergenze.
Bene!! Evviva!!
Si ritorna sempre sul problema del database dei pazienti,
Questa possibilita' era gia presente in Inghilterra dove le emergency supplied sono fatte quando il paziente non puo' andare dal proprio dottore, per un limite di 5 giorni o della minima intera quantita in caso di spary o anticoncezionali.
Ovviamente tutto diventa piu' facile e sicuro in Inghilterra per la possibilita' del farmacista di consultare il database e vedere il record del paziente per capire se effettivamente e' dovuto e con che posologia.
In Italia si dovra' aspettare ancora per questa possibilita'..

ricerca FOFI - Bocconi

" La soddisfazione verso il servizio reso in farmacia ad oggi è molto alta, 6,35 su una scala di Likert 1-7, dove 7 rappresenta la soddisfazione massima. "

Ottimo risultato per le farmacie italiane le quali risquotono un buon 6.35 su un massimo di sette.
Ovviamente da farmacista trovo da ridire su questo "ottimo" risultato.
Come puo' il ruolo del farmacista non essere valutato tale. La liberta' di azione e' talmente limitata che questo e' un risultato costretto.
Questa categoria di "dottori" puo' solo limitarsi a consegnare i medicinali dietro presentazione di ricetta medica e venderne alcuni dei quali non e' poi cosi' difficile diventare esperti. Raramente interferisce clinicamente con il prescrivente anche perche' non esiste un database dei medicinali assunti da ogni paziente.
Come puo' un farmacista ricordare che tipo e quante medicine il proprio paziente prende? Come puo' controllare se le assume regolarmente o se magari ha un sovradosaggio di un particolare farmaco se nel proprio database non figura cosa gli e' stato prescritto in passato e in che quantita'?
Pensiamo aglia naziani che assumono anche 10 diversi tipi di medicinali. Solo se questi son prescritti contemporaneamente nella stessa ricetta, il farmacista puo' controllare che non vi siano interazioni tra loro.
Pensiamo ora ad una coppia di anziani che devono assumee diverse medicine. Secondo voi non puo' succedere che per qualche ragione l'uno prende quelle dell'altra?
Beh, in Inghilterra dove ogni scatola consegnata al paziente riporta il nome del paziente stesso e il dosaggio, si scopre che questo, a volte , capita. Figuriamoci se non c'e' il nome.
E il farmacista cosa puo' fare? Nulla.
Limitarsi a consigliare l'ibuprofene per il mal di denti invece che il paracetamolo perche' e' piu' efficace . . per forza il cliente e' soddisfatto.

L'articolo comunque continua:

"Ma per la professione, adagiarsi su questo consenso, rischia di determinare un ancoraggio al modello tradizionale di farmacia senza tener conto dei cambiamenti istituzionali e di mercato"

Giusto, anzi giustissimo. Ma chi cambia questo stato di immobilita'?
Il dottore dovrebbe diagnosticare la malattia.
Il farmacista in quanto specializzato in farmaci dovrebbe deciderne la miglior cura. Ora capiso che questo e' eccessivo da proporre, ma chi meglio del farmacista dovrebbe conoscere i farmaci, i loro effetti collaterali, i dosaggi e le interazioni..?

Farmacista Clinico

Trovo con molto piacere alcune notizie in internet riguardanti la figura del farmacista clinico. Devo anche aggiungere che alcune di queste sono datate 2008, lasciando prevedere un miglioramento dei fatti.
Per i non addetti ai lavori, ma sono sicuro che anche molti colleghi farmacisti o laureandi farmacisti avranno bisogno di ulteriori spiegazioni a riguardo, il “Farmacista Clinico” e’ un laureato in farmacia con conoscenze cliniche simile a quelle di un dottore.

Nel Regno Unito e’ un professionista indispensabile in tutti gli ospedali e responsabile anche di case di cura o di riposo, insomma un farmacista specializzato che controlla le prescrizioni mediche potendo, dopo eventuale discussione con il medico prescrivente, modificare medicinale e/o dosaggio.

Non e’ difficile da immaginare come il trenta percento delle prescrizioni presenti un errore tecnico che non solo crea ulteriori spese per nuove cure, ma mette in gioco la salute dei pazienti.
Di certo non sono da incriminare i dottori, i quali hanno il loro gran da fare nel diagnosticare malattie e curarle nel migliore dei modi. Il farmacista dovrebbe essere la persona deputata a conoscere i farmaci nella loro completezza, mi riferisco non solo ai giusti dosaggi ed eventuali interazioni, o al sapere che tipo di medicinali devono essere prescritti per curare malattie piuttosto che deficit metabolici, ma anche all’assicurarsi che le medicine siano somministrate regolarmente durante la giornata e preparare eventuali medicine da dare per un primo periodo di cura al paziente dimesso prima che il malato possa andare dal proprio medico di base. Per questa ragione, oltremanica le due figure, primari e farmacisti, lavorano in simbiosi, con l’appoggio dei preziosissimi infermieri.


E in Italia? Discutono. Decidono se introdurre la figura e si continuano ad avere case di cura senza un farmacista responsabile al quale gli operatori sanitari possano rivolgersi. A quanti pazienti vengono somministrati anti-infiammatori non steroidei da personale addetto senza che quest’ultimo sappia se il paziente soffra d’asma?

Purtroppo sembrano esserci ancora dei nodi da risolvere nel Bel Paese su questa figura. Si pensa che la spesa dell’ospedale possa aumentare notevolmente. In realta’ e’ questione d’organizzazione. Quando ho lavorato in Ospedale, ogni farmacista era responsabile di uno o piu’ reparti. Ogni sei mesi il farmacista aveva la possibilita’ di cambiare reparto per aumentare le conoscenze cliniche, spaziando da chirurgia a medicina a, per esempio, oncologia piuttosto che pediatria. Alcuni di essi due volte a settimana visitavano case di cura e di riabilitazione. Con delle adeguate rotazioni durante le otto ore lavorative giornaliere, non vi era bisogno di uno spropositato numero di farmacisti per l’ospedale.
Il secondo problema e’ il diploma post-universitario per questa figura. Inutile dire che in Inghilterra si diventa farmacisti clinici lavorando ed appoggiandosi ad un tutor (generalmente un farmacista con esperienza ) e dei corsi universitari che seguono il lavoro del neo-farmacista e che non richiedono piu’ di 3 giorni mensili o bimestrali di frequenza e supportato da un massiccio lavoro da svolgere in ospedale. Questo permette di poter sostenere le spese universitarie in quanto si continua a lavorare ed una progressiva esperienza fatta direttamente sul campo. In Italia a quanto pare per il momento esiste solo un Master, al fine del quale non e’ garantito il lavoro in quanto il farmacista clinico.. non e’ ancora riconosciuto.

Lavorare in Inghilterra

Provare a spiegare come registrarsi in UK per diventare farmacista non e’ cosa da poco.
Si possono trovare comunque tutte le informazioni necessarie sul siti della Royal Pharmaceutical Society of Great Britain, ovviamente in inglese. La lingua infatti e’ comunque requisito fondamentale per poter esercitare la professione. Viene comunque richiesto un certificato o un test, che puo’ essere fatto a spese dell’azienda interessata al farmacista d’oltremare ( Lloyds – Boots – Coop, ma ora anche catene di supermercati: Tesco – Asda – Morrison, solo per fare alcuni nomi. ).
Lo scoglio piu’ grande da superare lo trova chi ha studiato in Italia e decide si andare in Inghilterra senza avere alcuna esperienza nel proprio paese in quanto non puo’ avvalere della lettera di Good Standing, o cioe’ la conferma, da parte dell’associazione dei farmacisti del proprio paese, della possibilita’ di lavorare all’estero in quanto non ci sono azioni penali in corso verso il farmacista richiedente.
Ma procediamo per ordine. Il sito a cui mi riferivo pocanzi e’ :
www.rpsgb.org.uk e il riferimento per la registrazione e la sessione per gli “overseas”: http://www.rpsgb.org/registrationandsupport/registration/registrationfromothercountries.html.
Specifico gia che sono molto meticolosi dunque richiedono TUTTI i documenti. Inoltre , per quanto riguarda la mia esperienza non sempre sono disponibili e gentili. Ho trovato molto difficile ricevere spiegazioni riguardo le varie documentazioni.
I punti fondamentali comunque sono i seguenti:

1 Un questionario da compilare che si trova nel loro sito.

2 Una copia certificata della propria carta d’identita’.

3 Un certificato di salute per il lavoro ( il modulo e’ sempre nel loro sito e deve essere firmato dal proprio dottore.

4 Copia del certificato di nascita.

5 Copia della propria laurea e della possibilita’ di esercitare la professione.

6 Fototessera certificata

7 Tassa di 100 sterline

Ora, alcuni punti richiedono delle spiegazioni.
Tutte le copie dei certificati e tutti i certificati devono essere in inglese: Laurea, abilitazione , certificazione carta d’identita’, copia del certificato di nascita. Come tradurli? Io ho trovato un grosso problema nella traduzione. In Italia per fare cio’ e’ sufficiente far tradurre il documento da una persona che conosca la lingua ( per esempio un professore d’inglese) e poi il traduttore deve andare in Tribunale e chiedere di certificare il lavoro. Il problema assurdo e’ che in questo modo ci si trova un fascicolo con l’originale italiano, la copia inglese e la certificazione del tribunale.. IN ITALIANO! In questo modo una volta spediti i documenti a Londra non riconoscono la certificazione italiana, dunque non sono validi. La miglio cosa da fare a mio avviso e ottenere tutti i documenti in italiano, contattare un’agenzia qualificata per traduzioni ed affidarsi a loro. La spesa e’ di un centinaio di euro.. ma e’ la soluzione adatta.

La copia della carta d’identita deve essere certificata da un notaio, ma sia bne chiaro che deve essere fatta in inglese!

La certificazione della fototessera invece puo’ essere fatta dal farmacista da cui si e’svolto il tirocinio ed e’ semplicemente una firma. Piuttosto semplice.
Leggendo il plico per la registrazione ottenuto dal sito della RPSGB ci sono altri documenti da ottenere che possono essere di difficile comprensione.

Compliance with the Directives. Questo certificato lo si ottiene tramite il Ministero della Salute, che per la mia esperienza si e’ rivelato molto efficientee disponibile. Si deve far riferimento all’allegato G1 e spedire al Ministero la copia della laurea, del tirocinio, dell’esame di stato e una marca da bollo di 15 euro circa.


Infine la lettera di Good Standing per chi ha lavorato gia’ in Italia e’ semplice da ottenere all’ordne dei farmacisti a cui si e’ inscritti. Il problema nasce per chi non ha mai lavorato. Esistono 2 possibilita’:

La prima e’ quella assurda di inscriversi in Italia all’ordine per poi chiedere il Good Standing, con una spesa notevole.

La seconda e’ richiedere una lettera “tipo” Good Standing dall’ordine dei farmacisti la quale dichiari che se il richiedente volesse inscriversi all’ordine, non conoscono motivo di rifiutare. Ovviamente questa lettera e’ praticamente gratis. Per quanto riguarda il mio caso, purtroppo devo dire che l’ordine di Vicenza si e’ dimostrato inefficiente in questo servizio, mentre L’Ordine di Padova non solo mi ha messo al corrente di questa possibilita’ ma mi ha addirittura dato una certa urgenza perche’ al corrente della mia scadenza di termini. Infatti i documenti che si presenteranno a Londra non devono essere piu’ vecchi di tre mesi. L’ordine dei farmacisti di Padova e’ stato decisamente professionale sia dal punto di vista burocratico che , molto importante, umano.

Quanto scritto e’ in via indicativa quanto richiesto per inscriversi a Londra, il che puo’ apparire complicato e dispendioso ma se ci si riflette un po’.. Lavorare in Inghilterra vuol dire:
Percepire uno stipendio di circa 1200 sterline come pre-registration trainer ( i circa tre mesi di training prima di avere l’abilitazione, dove si affianca un farmacista e si aquisosce esperienza);
poter guadagnare circa 2000 sterline come farmacista (cioe’ gia dal terzo mese);
Poter diventar direttore di Farmacia;
Con un po’ di esperienza ed applicazione lavorare in ospedale;
Apprendere conoscenze cliniche che difficilmente in Italia si hanno per la concezione di farmacia come ambiente sanitario indipendente piuttosto che in stretta collaborazione con gli ambulatori e gli ospedali.
Vale la pena studiare cinque anni e sostenere le tasse universitarie e una vita da studente per lavorare come farmacista in Italia?

Se il lavoro prevede personalmente il passaggio della farmacia per via generazionale padre-figlio, certo che vi consiglio di seguire questo indirizzo universitario, ma cosa succede se non si ha questa fortuna? Provare i concorsi di stato con un altro migliaio di colleghi per avere una propria farmacia in gestione o dover lavorare come dipendente? O forse la soluzione più intelligente e' quella di cambiare facoltà?
Sono un farmacista italiano ed ho passato i miei cinque anni universitari tra i libri di studio, il pallone ed il lavoro per contribuire attivamente all'adempimento delle tasse universitarie. Dopo l'ottenimento del titolo mi sono trasferito in Inghilterra, per completare la conoscenza della lingua inglese, grave lacuna delle scuole italiane. Ora lavoro qui, in un anno sono passato attraverso il lavoro di farmacista, di manager di farmacia e ancora più interessante, farmacista ospedaliero. Proprio quel tipo di farmacista che in Italia richiede 3 anni di studio e un posto di lavoro da borsista, perche’ la meritocrazia non e' sempre parte della nostra cultura.

Vi racconterò le mie esperienze, le differenze tra l'Italia e l'UK. Se avete bisogno vi aiuterò nel risolvere le vostre difficoltà nel trasferirvi in questo paese.